dimanche 6 décembre 2009
PHRASE DU JOUR
La speranza è dietro e davanti a me, mentre cammino sul filo.
samedi 5 décembre 2009
Grand corps malade - 4 saisons
Le mois de mars avait tracé en un battement de cils et on m’a dit qu’en avril faut pas s’ découvrir d’un fil
Au mois de juin on change de teint, fini d’être albinos
C’est surtout à partir d’octobre qu’ c’est la saison la plus austère
Puis l’hiver est revenu et les saisons se sont perpétuées
mercredi 25 novembre 2009
PHRASE DU JOUR
"Vivere bene e vivere felici sono due cose diverse. E la seconda, senza qualche magia, non mi capiterà di certo."
mardi 24 novembre 2009
Ali di Babbo - Milena Agus
Sulle colline, nei versanti a sud est al riparo dal maestrale, abbiamo i mandorleti e facciamo un po' di soldi con le mandorle, che si vendono a caro prezzo per i dolci sardi e con la verdura e la frutta degli orti, sopratutto i pomodori di madame, che al mercato a Cagliari d'estate vanno a ruba e tutti si chiedono come mai non sanno di acqua e hanno davvero il gusto di pomodoro e, sembra impossibile, ma piu' che non gli ospiti dell'albergo, madame campa con i pomodori e le conserve.
Quando i costruttoti dei villagi turistici fanno visita a madame, lasciano le loro belle auto vicino alla statale e madame va a prenderli all'inizio della strada bianca con la sua Ferrarina scassata, che tanto di piu' non si puo' ammaccare. Ai costruttori madame ripete sempre che non puo' vendere, perché vive di questo posto, delle colture e della casa albergo. Allora i costruttori cercano di farle capire che se vendesse non avrebbe certo bisogno della frutta e verdura per vivere, né di fare la serva a non piu' di otto ospiti, con tutto il rispetto, e scusando la volgarità, rincoglioniti, che camminano per chilometri sotto il sole e fra le spine prima di arrivare al mare.
Poi, con il tempo e l'amicizia di madame, nonno ha cambiato idea e secondo mamma ad ammazzare nonna Elena è stato soltanto babbo, ma anche madame, che ci ha impedito di diventare nuovamente ricchi e ha fermato con le sue mani la ruota della Fortuna. Ma la speranza c'è sempre. I costruttori tornano. Madame è gentile e carica le loro auto di ogni bendiddio. Ma di vendere nemmeno per sogno. I vicini, per quello che li riguarda, pensano che Dio abbia qualche suo piano imperscrutabile a proposito di questa terra e si serva, par attuarlo, di una povera donna come madame, senza marito e senza titolo di studio, e diciamolo, senza cervello. Nonno i costruttori li odia e quando vengono va al cancello e li fissa senza parlare in modo minaccioso come se fossero dei ladri e non dei benefattori che vogliono farci diventare ricchi.
lundi 23 novembre 2009
Ali di Babbo – Milena Agus
A proposito dei vicini e del fatto che loro vorrebbero vendere, madame non capisce come delle persone cosi' religiose e buone, che fanno la preghiera prima di mangiare per ringraziare Dio del cibo, non lo ringrazino anche per questo pezzo di paradiso terrestre e vogliano permettere che costruiscano tanti cubi di cemento, ciascuno con il suo praticello all'inglese e tante strade adatte alle macchine e tutto per i soldi. Come se non si dovesse difendere l'opera del Signore anche quando non ci fa comodo.
Quando i costruttoti dei villagi turistici fanno visita a madame, lasciano le loro belle auto vicino alla statale e madame va a prenderli all'inizio della strada bianca con la sua Ferrarina scassata, che tanto di piu' non si puo' ammaccare. Ai costruttori madame ripete sempre che non puo' vendere, perché vive di questo posto, delle colture e della casa albergo. Allora i costruttori cercano di farle capire che se vendesse non avrebbe certo bisogno della frutta e verdura per vivere, né di fare la serva a non piu' di otto ospiti, con tutto il rispetto, e scusando la volgarità, rincoglioniti, che camminano per chilometri sotto il sole e fra le spine prima di arrivare al mare.
Appena trasferiti qui, chiesero a nonno di vendere, e poi anche ai vicini. Tutti pensammo che la Fortuna girasse di nuovo a nostro favore, che forse in fondo babbo avave ragione, ma i costruttori dei nostro terreni ai margini e senza accesso al mare non se ne facevano niente, se non vendeva madame, che aveva la terra proprio in mezzo e sopratutto confinante con la spiaggia.
Poi, con il tempo e l'amicizia di madame, nonno ha cambiato idea e secondo mamma ad ammazzare nonna Elena è stato soltanto babbo, ma anche madame, che ci ha impedito di diventare nuovamente ricchi e ha fermato con le sue mani la ruota della Fortuna. Ma la speranza c'è sempre. I costruttori tornano. Madame è gentile e carica le loro auto di ogni bendiddio. Ma di vendere nemmeno per sogno.
I vicini, per quello che li riguarda, pensano che Dio abbia qualche suo piano imperscrutabile a proposito di questa terra e si serva, par attuarlo, di una povera donna come madame, senza marito e senza titolo di studio, e diciamolo, senza cervello. Nonno i costruttori li odia e quando vengono va al cancello e li fissa senza parlare in modo minaccioso come se fossero dei ladri e non dei benefattori che vogliono farci diventare ricchi.
Un fiore di Amicizia di Alessandra
Un semplice 'grazie' alle meravigliose persone che ho conosciuto qui, ognuna diversa dall'altra,uniche e speciali . Il blog, anche se 'solo' espressione virtuale, lascia trapassare spiragli delle nostre essenze. Apprezzo le mille e una sfaccettature dell'essere umano,mi piace partire alla loro scoperta e poi avventurarmi in esse, l'avventura blog è un pò come un viaggio, che arricchisce il nostro bagaglio di vita di emozioni ,di emozioni non solo nostre, ma soprattutto altrui, grazie a tutti voi per emozionarmi e sorprendermi ogni giorno !
lundi 26 octobre 2009
Ho bisogno d'amore - Paolo Meneguzzi
Certe sere spengo la luce e rimango per ore da solo con me, resto lì con la radio accesa a guardare nel buio perchè faccio i conti con la mia vita e poi dico a me stesso adesso o mai più, cerco le intenzioni migliori, piango tutti gli errori perchè ho bisogno d'amore e di aprire il mio cuore in un mondo che corre più veloce di me, di cercare un mio senso delle cose a cui penso.
Ho bisogno di te, dimmi dove sei, resto lì a guardarmi allo specchio e mi chiedo se un giorno io ti incontrerò. Forse questa notte anche te vuoi parlare con me perchè hai bisogno d'amore e di aprire il tuo cuore, in un mondo che corre più veloce di te, di cercare un tuo senso delle cose a cui pensi, hai bisogno di me, dimmi dove sei, hai bisogno d'amore.
Ho bisogno di te, ho bisogno d'amore e di aprire il mio cuore in un mondo che corre più veloce di me, di cercare un mio senso piccolissimo e immenso, ho bisogno di te, dimmi dove sei, ho bisogno d'amore. Ho bisogno di te, hai bisogno di me, dimmi dove sei, ho bisogno di te, dimmi dove sei.
Ma che lingua... che lingua ! La piu' bella che esiste al mondo. I miei radici sono francesi, il mio cuore è italiano, per sempre. Datemi un'altra vita che io mi svegli italiana. ITALIAMORE...
vendredi 16 octobre 2009
Io ho te - Biagio Antonacci
dimanche 27 septembre 2009
Regalo di Alessandra
un piccolo regalo per tutti i miei amici
Cari amici, oggi vorrei farvi un piccolo regalo ..preferisco non definirlo "premio", sono troppo pudica per farlo, mi sento strana a "premiare", .. accettate questo mio piccolo dono in segno di gratitudine e della mia amicizia per voi , per tutti, e dico tutti, i miei Amici blogger, con affetto e simpatia.
Alessandra
jeudi 24 septembre 2009
Dino BUZZATI – "Non è mai finita"
Bene. Dalla stanza dove sono nata si vedeva, lontana, una città, stesa lungo il mare. Di notte era tutto uno sfavillare di lumini. E i fari. E i piroscafi. E i treni coi finestrini accesi. Trapani ? Lei dice ? Be', facciamo pure conto fosse Trapani. Al calar della sera, appoggiata al davanzale, io rimiravo quelle luci. Laggiù era la vita, il mondo, il sogno ! (Trapani)
Per farla breve, cominciai a sognare Roma. Messina ormai mi sembrava un buco, da non poterci respirare più. Dai e dai, mio marito si decise ; tanto, non gli mancavano i quattrini. Trascolammo nella capitale.
Dovevo essere contenta, no ? Roma non è mica un paesello. Grandi nomi, società internazionali, caccia alla volpe, scandali, cardinali, ambasciatori. Eppure, cosa vuole ? Quei grandi personaggi che dall'estero venivano volentieri ad abitarci, ci venivano per fare la bella vita, non per altro, come quando si è in vacanza, come se Roma non fosse che un famoso posto di villeggiatura : ma in fondo non la prendevano sul serio. Il loro mondo vero era lontano, le vere grandi capitali della terra erano altre. Parigi, Londra, mi capisce ? E io, li invidiavo. (Roma)
Roma cominciò a scottarmi sotto i piedi. Sospirai l'Etoile, Picadilly. Per caso in quel periodo Cristolera e io ci separamo. Seguì un regolare annullamento. Ero ancora una bella donna. Conobbi Briz, il grande finanziere. Quando si nasce fortunate !
Sempre più cosmopolita, sempre più in alto nella scala delle residenze umane. Era una mania balorda, però soltanto oggi lo capisco. Divenuta ufficialmente Mrs. Briz, grazie ai milliardi del marito, non avevo più che l'imbarazzo della scelta. (Londra)
Ahimè, la società più filtrata ed esigente ebbe a noia il Pacifico e i deserti. Prese l'aereo verso est, ritornò alla vecchia stanca Europa. Non già per infognarsi nella volgarità di Londra o di Parigi. Macché. Andava in cerca di eremi ed esilii, di conventi, di ruderi e rovine. E io dietro.
mardi 15 septembre 2009
dimanche 13 septembre 2009
PHRASE DU JOUR
Le cadeau
Nous jouons tous le jeu de l’échange volontaire obligatoire. Nous offrons en partie parce que nous le voulons bien, et en partie parce que la tradition nous y oblige. Nous sommes même soumis à une triple obligation : celle de donner, de recevoir (qui ose dire « non merci » à un cadeau ?) mais aussi celle de rendre cadeau pour cadeau, faute de quoi nos relations peuvent être rompues. Ces règles ont des conséquences. En principe, nos cadeaux sont des témoignages d’amour, comme une nourriture affective qui trouve son origine dans le don de nourriture de la mère à son enfant. Le cadeau est donc celui qui, de la même manière, satisfait le besoin le plus intime de la personne qui le reçoit. Mais en réalité, donner c’est aussi prendre. Cette idée choque notre imaginaire judéo-chrétien où le don se doit d’être gratuit et désintéressé, mais pourtant nous mettons notre bénéficiaire en position de débiteur lorsque nous lui offrons un présent. Nous attendons en quelque sorte un retour sur investissement. Aussi, sous des dehors généreux, nos cadeaux sont donc avant tout des demandes d’amour.
Chaque enfance est marquée par de magnifiques surprises qui nous ont comblés mais aussi par des cadeaux ratés : ceux que nous avons tant espérés – un vélo, un train électrique, une poupée – et qui ne sont jamais venus, nous signifiant ainsi l’incapacité de nos parents à nous donner à ce moment-là l’amour tant attendu. Sensé symboliser celui qui le reçoit, lorsque nous offrons un présent à quelqu’un, nous présumons de ses goûts et de ses centres d’intérêt. C’est pourquoi un cadeau raté nous blesse tant, car celui-ci révèle à quel point le donateur nous connaît mal et montre l’image dans laquelle il essaie de nous enfermer.
A l'image des rêves que nous faisons lorsque nous dormons, les cadeaux portent en eux tout un langage codifié, dont l'interprétation nous informe à la fois sur notre donateur et sur les rapports qui nous unissent à lui. Du présent offert pour le simple bonheur de faire plaisir, à l'absence totale de cadeau, toute une gamme de cadeaux empoisonnés se décline.
Il y a, par exemple, ceux qui nous donnent une responsabilité que nous n’avons pas choisie. A mon travail, j’ai eu un jour une collègue à qui son petit ami avait offert un chien – un Labrador – alors qu'elle vivait en appartement et qu’elle ne lui avait rien demandé. En guise de cadeau, c’est une somme de contraintes que son compagnon lui avait offert, comme s’il s’agissait d’un moyen de la tenir en laisse. Le cadeau empoisonné, c’est aussi celui qui revient à nier la place de quelqu'un au sein de sa famille : une grand-mère, par exemple, qui offre à sa petite fille le cadeau que sa mère lui avait refusé ou qui la prive du plaisir et de l'autonomie de choisir ou d’acquérir elle-même l’objet offert. Quelle liberté lui reste-t-il alors ?
Tout le monde a, je crois, le souvenir de cadeaux utiles mais décevants : la fameuse pelle à tarte, le minuteur pour la cuisson des œufs, le sceau à glaçons… Pas seulement décevants parce qu’ils sont terre à terre, dénués de poésie ou de rêve, mais surtout parce que certains véhiculent au passage un message indélicat. Offrir un programme minceur à sa femme ou un recueil de recettes de cuisine à sa belle-fille revient, sous prétexte de leur apporter de l’aide, à désapprouver leur apparence ou leurs talents. La belle-mère qui part acheter un pyjama de grand-mère rose bonbon en polaire, taille 44, alors que sa belle fille fait du 38 ou le mari qui offre un superbe collier à sa femme et les boucles d’oreilles qui vont avec, mais à sa sœur… peuvent vexer et humilier pour longtemps les personnes et sont autant d’occasions de régler des comptes.
Et puis il y a les cadeaux vraiment embarrassants. L’épouvantable objet décoratif que quelqu’un nous a offert et qu’il nous faut extirper de sa cachette dès qu’il vient dîner… Le pire étant qu’il crée un sentiment d’obligation. Le rendre est insultant, le garder revient à accepter un objet que nous n’aimons pas et que nous ne voulons pas. Dilemme !
Quant aux donateurs, il en existe également de toutes sortes. Certains assoient leur pouvoir par des dons qui n'en sont pas. Se conduisant tel l’empereur Caligula faisant pleuvoir des cadeaux sur la foule, ils se mettent en position haute par leurs largesses. La grande générosité est parfois un indice fort de la volonté de domination. Gare au grand seigneur qui nous couvre de cadeaux ! Sa prodigalité peut être une façon insidieuse de prendre l’ascendant sur nous jusqu’à nous mettre sous sa coupe et nous asphyxier totalement.
D'autres ne donnent que de l’argent. Il peut parfois s'agir d'une manière de se dédouaner de tout, un contrat tacite disant en substance : « Ne me demandez rien et je vous rétribuerai pour cela en retour ». Ce pacte leur évite de se sentir coupable tout en s'impliquant peu. Le cadeau est facile, vite expédié, impersonnel. Il n'engage pas l'intimité de la personne et le lien qui subsiste n'est que superficiel et illusoire.
Ceux qui n’offrent jamais rien ou pas grand-chose cachent souvent, sous des dehors radins, une fragilité narcissique. Ils n’ont peut-être pas été élevés dans l’idée qu’ils pouvaient faire plaisir et en ont gardé un manque de confiance dans leur propre générosité. Plutôt que de donner d’eux-mêmes au risque de décevoir, ils préfèrent offrir du conventionnel à petit prix ou s’abstenir, et souffrent du dépit de leurs proches.
Diverses personnes vivent ce rituel comme une telle corvée, qu’ils partent faire leurs achats une demi-heure avant la fermeture des magasins. Certains font ça tout le temps, incapables de donner quoi que ce soit d’eux-mêmes, incapables de faire un cadeau. Probablement se sentent-ils forcés, obligés de répondre à cette exigence annuelle imposée par la tradition, la famille et la société. Ils envoient parfois leurs cadeaux plusieurs jours après l’événement ou bien le cadeau n’est pas emballé ou encore ils ont chargé quelqu'un d'autre de s'en occuper à leur place. Il peut aussi s'agir d'un événement vécu comme une épreuve difficile. Certains mettent tant d'exigences, tant d'attentes dans leur désir d'être compris et comblés que leur offrir un cadeau se transforme en un défi à relever avec maestria chaque année, enlevant toute sincérité et spontanéité dans le geste d’offrir.
Enfin, il y a ceux qui soignent l’emballage. Au-delà de l’objet offert, il y a l’attention portée à la mise en scène. Préparer avec un grand soin une surprise, fabriquer l’emballage ou le cadeau, c’est honorer le bénéficiaire de sa créativité et de son temps. Mais ce que la personne qui offre le cadeau met aussi en jeu ici, c’est son identité. L’originalité du présent est une manière d’affirmer sa singularité et une demande de reconnaissance.
vendredi 11 septembre 2009
PHRASE DU JOUR
Sogni mancini (1996) – Francesca DURANTI
Al capezzale della madre morta, la protagonista ritrova tracce del proprio passato. Nel romanzo si rincorrono storie di ieri e storie di oggi, un passato povero in un paese ricco di tradizioni e memorie e un presente che può diventare opulento ma a costo di un azzeramento memoriale.
"Mi hanno detto che è morta alle sette e mezza del mattino, proprio mentre il mio aereo atterrava al Leonardo da Vinci. Il pilota aveva girato sopra Roma per quasi un’ora cercando un buco nella tempesta autunnale che infuriava sulla città. Poi riuscì a tuffarsi in una voragine nera e a noi passeggeri sembrò di venir giù come un sasso dentro un pozzo. Quando le ruote toccarono terra, lasciai andare i braccioli a cui mi ero aggrappata e guardai l’ora: le sette e mezza, appunto.
dimanche 16 août 2009
Définitions...
AIDE AU TIERS MONDE : aide payée par les pauvres des pays riches pour aider les riches des pays pauvres. (Robert Burron)
vendredi 14 août 2009
Jean DUCHE – Elle et lui
Et puis, à quoi bon discuter ? Elle adore ça, la discussion, mais il y a un fait qu’elle devrait tout de même m’accorder : s’ils connaissaient le bonheur de leur état, les célibataires s’organiseraient pour le protéger, le défendre. Or, qu’est-ce que nous voyons tous les jours ? Ce sont précisément les célibataires qui se marient.
Elle est entrée dans ma vie par la porte du Montana, le Montana est un bar existentialiste, comme on dit, juste à côté du café de Flore. En ce temps-là il n’était pas encore encombré par des jeunes gens en chemises écossaises et pantalons noirs, ni par des jeunes femmes en vice versa. Non, ce corridor tapissé de bouteilles servait de refuge aux gens qui n’avaient pas l’air existentialiste, comme moi, ou comme Jean-Paul Sartre.
Ce soir-là, j’étais justement en train « d’interviouver » sur un tabouret ce philosophe bien connu au sujet de sa philosophie que personne ne connaît. Il faut dire que j’étais journaliste, en ce temps-là.
- L’existentialisme, dit Sartre, qu’est-ce que c’est que ça ?
- Je vous le demande, répliquai-je.
- C’est un dada, dit Sartre. Je suis un dada.
Là, je coupai net le développement de sa pensée.
- Pardon, lui dis-je, existentiellement vous n’êtes rien du tout. Donc vous n’êtes pas dada. Vous existez dada.
- Très juste, dit Sartre en sifflant un pastis. Il considéra un instant le fond de son verre.
Je respectais sa méditation, prêt à noter la déclaration que je sentais venir.
- Voilà, dit-il enfin, un pastis qui n’existe plus.
Nous en commandâmes deux autres.
- Et pourtant il existe encore, reprit-il, mais dans mon estomac. Il aurait pu avoir une existence toute différente dans le vôtre. Prenez…
- Prenez un autre pastis, intervins-je précipitamment.
C’était pour alimenter notre « interviouve ». Le barman, qui s’intéressait à la conversation dans le but de s’instruire, s’empressa de nous apporter encore deux verres, ce qui en fit quatre devant nous. Cependant Jean-Paul Sartre avait ressaisi le fil de sa pensée. Il enchaîna :
- Prenez un autre pastis…
Le barman parut un peu étonné, mais comme il avait du respect pour la philosophie il empoigna sa bouteille. Je l’arrêtai d’un geste.
- Qui dira, murmura Sartre, l’avenir de ce pastis ?
A ce moment le pastis du philosophe fut balayé par le coude d’une jeune femme qui se hissait sur le tabouret voisin. Au lieu de s’excuser, elle éclata de rire.
- L’avenir n’est à personne, dit le barman, qui venait de se convertir à l’existentialisme. Il restait trois verres. Nous en offrîmes un à la belle inconnue. Mon Dieu, comme elle riait bien ! Elle s’appelait Juliette, et je ne compris pas tout de suite que, moi, j’avais fini de rire.
L’avouerai-je ? Je suis joli garçon. Du moins, je l’étais. Maintenant, je ne sais plus, peut-être que ça m’a passé. Etant d’un naturel modeste, il faut qu’on me le dise pour que je le croie. Hélas ! Plus personne ne me le dit – Sauf Juliette, mais elle est de parti pris, elle soupire « tu es beau » quand elle se sent tendre, comme elle hurle que j’ai mauvais caractère quand elle se met en colère. En ce temps-là, les femmes avaient l’habitude de me le dire. Elles ajoutaient généralement qu’elles m’adoraient. Je leur répondais qu’elles étaient adorables. Dans les quarante-huit heures j’étais l’homme de leur vie, et cela durait au moins une semaine, quelquefois plus. Tout ça afin d’expliquer, sans fatuité, que lorsque Juliette m’a avoué qu’elle m’aimait, je m’y attendais un peu. C’est la suite qui m’a surpris.
Nous étions revenus nous poser sur les tabourets du Montana, à l’heure où les lions vont boire, entre chien et loup. Je fais allusion à cette heure incertaine du crépuscule où l’homme libère ses épaules du fardeau de son labeur quotidien et accourt, l’âme guillerette, à la rencontre des femmes parées qui entrent dans la lumière électrique. Heure divine au seuil de la nuit neuve où tout recommence pour les hommes qui ne sont pas mariés.
Donc, nous étions revenus sur les tabourets du Montana.
- Je crois que je vais vous aimer, dit soudain Juliette.
- Pas d’objection, lui dis-je. Ça tombe même très bien, parce que je vous adore. J’ai un petit local où on pourra s’arranger tous les deux.
Elle eut un sourire un peu triste, sa main se posa sur ma main et la tripota tendrement.
- Vous vous gourez, dit-elle.
Je glissai un regard en coin en rencontrai ses yeux. Il n’y avait pas de plaisanterie dans l’air. Ses yeux souriaient, cependant, bien que son visage fût grave. Je sentis comme une buée qui me montait à la tête, et je me mis à sourire moi aussi, bêtement, oh ! si bêtement… Alors un imperceptible éclair de gaieté la traversa, qu’elle ne chercha pas à dissimuler, au contraire, cela voulait dire : vous m’aimez, vous venez de le comprendre, je le sais, et je veux que vous sachiez que je le sais.
- Je suis fait comme un rat, dis-je, amèrement.
- Moi aussi, dit-elle, joyeusement. Alors nous nous regardâmes bien en face, et nous partîmes tous les deux d’un grand éclat de rire, un éclat de rire comme si nous en avions pour toute notre vie.
jeudi 13 août 2009
Good night and good luck - Georges Clooney (2005)
« Ce discours risque de déplaire à certains et lorsque j’en aurais terminé, ils pourront accuser ce journaliste de cracher dans la soupe qui le nourrit quotidiennement et ils pourront aussi accuser votre association d’avoir en son sein un être qui véhicule des idées hérétiques et même dangereuses. Mais la solide structure des chaînes, des agences de publicité et des sponsors n’en sera pas le moins du monde altérée.
C’est par choix et non par devoir que j’ai décidé de m’entretenir avec vos journalistes à propos de la radio et de la télévision. Et quoi que je puisse vous dire, j’en assume seul l’entière responsabilité.
Notre histoire est telle que nous la faisons et s’il se trouve des historiens dans cinquante ou cent ans pour visionner une semaine d’enregistrement de nos émissions sur nos trois réseaux, ils verront des images en noir et blanc et aussi en couleur, qui seront la preuve de la décadence et de la fuite totale face aux réalités du monde où nous vivons. Nous sommes en effet riches, imposants, bien tranquilles et complaisants. Nous sommes totalement allergiques aux informations qui nous dérangent, et nos médias reflètent cet état de fait. Mais à moins de nous réveiller et de reconnaître que la télévision dans sa totalité n’est utilisée que pour distraire, divertir, amuser et isoler les gens, alors cette télévision, ceux qui la financent, ceux qui la regardent et ceux qui y travaillent, risquent de réagir un peu trop tard.
J’ai commencé ce discours en disant que notre histoire sera telle que nous la faisons. Si nous continuons ainsi, alors l’histoire se vengera et le châtiment sera à la hauteur du mal que nous aurons fait. Pendant un instant portons aux nues tout ce qui concerne les idées et l’information. Faisons un rêve et imaginons que certains dimanche soirs, à l’heure où normalement Monsieur Ed Sullivan sévit, nous avons une émission sur l’état de l’éducation en Amérique, et que, une semaine plus tard, à l’heure où sévit Monsieur Steve Allen, nous avons un reportage sur la politique américaine au Moyen-Orient. Croyez-vous que cela serait préjudiciable à l’image de nos respectables sponsors ? Croyez-vous que nos chers actionnaires pourraient sombrer dans une forte colère ? Arriverait-il malheur à plusieurs millions de téléspectateurs qui auraient été éclairés quelque peu sur des sujets qui pourraient déterminer l’avenir de notre pays ? Et par là même, l’avenir de nos entreprises ? A ceux qui disent que les américains ne regarderont pas car ils sont bien trop complaisants, indifférents et individualistes, à ceux-là je répondrai : il existe, et c’est le journaliste qui parle, de nombreuses preuves du contraire, c’est rassurant. Mais si c’était vrai, qu’ont donc à perdre ces personnes ? Parce que s’ils disent vrai, et que la télévision ne sert qu’à divertir, distraire, amuser et isoler les gens, alors notre but est loin d’être atteint, et nous devons reconnaître que la bataille est perdue.
Cet instrument peut enseigner, il peut nous éclairer et être source d’inspiration. Mais il n’a le pouvoir de faire tout cela que si nous sommes déterminés à nous en servir dans cette finalité. Autrement, il ne s’agit que de câble et de lumière dans une boîte.
Bonne nuit et bonne chance ! »
vendredi 7 août 2009
PHRASE DU JOUR
Arsèni VERMENOSA – « Viva la libertat », 1908
L’âme auvergnate n’est pas encore au cimetière entre les planches d’un cercueil. Sa floraison n’est pas un ultime sursaut de vie et son parler n’est pas éteint. Les imbéciles et les lâches ont bien dit qu’elle était morte, mais ils n’ont pas dit la vérité. L’âme auvergnate est vivante, et puissante et forte, veut conquérir sa liberté.
Et du Midi et de la race méridionale, on n’entendra pas sonner le glas tant que se dressera notre Auvergne immortelle, comme un rempart dans le ciel clair, rempart de basalte et de hautes montagnes gardé par des hommes de cœur qui ont la barbe épaisse et rêche aux joues, la crête rouge et la tête dure.
Nous voulons, du fier Cantal, jusqu’à la Méditerranée, et de la Loire aux flots agités jusqu’aux Pyrénées qui étendent leur dos sous l’ardent soleil espagnol, et des Alpes jusqu’à l’océan braillard qui fume après Bordeaux, nous voulons tous parler la vieille langue maternelle et nous la parlerons, pardi !
Cela, Mistral notre roi de Provence le veut, le clame et l’affirme et tout bon Méridional qui ne le dit pas, le pense ; l’Auvergne le pense et le dit.
Pour sa langue et ses traditions, tout peuple a le devoir de se lever et n’est qu’un bâtard sans une goutte de sang noble celui qui s’en laisse dépouiller. La liberté d’écrire et de parler sa langue ne doit jamais se demander. Elle ne doit pas se demander, les enfants, il faut qu’elle se prenne sans dire à personne : S’il vous plaît.
Le Midi ! Regardez ces plaines, mes frères, ce n’est pas seulement le Quercy ; nos puys, là-haut dressent leurs fières cornes. En aval, c’est le Limousin ; plus bas, plus loin, beaucoup plus loin, c’est la Gascogne où pousse la grande vigne et comme avec un ruban d’argent notre Dordogne nous attache à ce pays. Nous sommes en Languedoc et de la haute terrasse de cet antique Castelnau, je trinque de tout cœur aux hommes de ma race, à tout le pays méridional !
dimanche 2 août 2009
Amicizia dal blog di Pasticcino
"L'amico è la cometa che guida ma non obbliga, uno sguardo che scruta ma non giudica, corregge ma non umilia, è un cuore che ama ma non esige...."
Vorrei dedicare questo premio ad alcuni fedelissimi:
adamus' site
BONDEARTE
CA R T A T A D I R E S C H E
Emozioni e Sensazioni
Felinità
i love only rock and roll
il piacere di mangiare e non solo
Mondo di Paola
Patri
POESANDO E ARTISTICANDO
sacred fire
Sara
spizzichi
STELLA
Think inside and outside the box
samedi 1 août 2009
« VOLVER » de Pedro ALMODOVAR
C’est un univers très singulier qui est préservé, celui de la classe ouvrière espagnole, de Madrid, des superstitions régionales, des traditions, et ça change tellement des films européens ou américains habituels, formatés et dont les scénarios, même s’ils peuvent être très bons, sont souvent prévisibles car c’est un cinéma uniformisé qui a souvent perdu ses racines. Ici, l’univers est différent, cocasse, coloré, vivant, chaud et pittoresque.
Ce qui m’a plu ensuite, c’est qu’Almodovar raconte cette histoire à la façon d’un conte, avec un humour sombre et poétique, un peu comme Tim Burton. J’ai trouvé une maîtrise chez cet auteur qui fait habilement alterner des moments légers comme dans une comédie et d’autres étranges et surnaturels comme dans un film fantastique. Cette ambivalence crée un rythme plein de rebondissements qui ne laissent aucun temps mort. L’histoire passe de drôle à émouvante, le ton de léger à grave ; le scénario est étonnant, inventif : il s’agit de portraits intimes de femmes, de morts qui sont présents au côté des vivants, le tout étant imprégné d'un humour décapant et décalé.
Il y a, d’un côté, des secrets noirs et lourds à porter comme celui de la fille de Pénélope Cruz née d’un viol incestueux, et de l’autre, des merveilleux mouvements de vitalité qui ouvrent sur l’espoir, le dynamisme et le bonheur. Il y a une lutte pour la vie. Rien n’est sinistre et pourtant Almodovar parle de sujets graves. Mine de rien, sans avoir l’air d’y toucher, il raconte des drames humains mais il enchaîne aussitôt sur des légèretés comme par pudeur. Rien n’est lourd. On revient tout le temps à la vie. Il trouve un équilibre parfait entre le fantastique et le quotidien dur, le drame et la comédie.
Les personnages sont émouvants, drôles, forts et fragiles, on a envie de sourire et de rire. Leur humanité nous gagne. Ce film est une leçon de vie, de bonheur simple, un hymne à l’amour, à l’espoir. Les épreuves parfois terribles de ces femmes nous renvoient à cette force vitale que nous avons en nous, à la solidarité sans limites que chacun de nous peut faire surgir, à la capacité à aimer, douter, redouter, vibrer, faire front.
Les différents rôles que Pedro Almodovar attribue aux acteurs sont hors du commun, tout en finesse, en retenue et pudeur : « la grand-mère revenante qui ne peut pas mourir tant qu’elle n’a pas parlé à sa fille et fait la paix avec elle » « la voisine prostituée incarnant la mauvaise vie, mais formidable et fiable amie complice », « la fille qui cherche son identité », « la mère courage qui garde un lourd secret, affronte le pire, protège son enfant, invente des trésors d’ingéniosité pour survivre coûte que coûte », « l’amie atteinte d’un cancer, qui va mourir, qui veut savoir la vérité sur la disparition de sa mère mais pas en reniant certains principes ».
C’est une histoire familiale avec tout son cortège de secrets de famille, de rumeurs, de souvenirs trop longtemps enfouis, de réconciliations et les fantômes du passé ressurgissent pour que les personnages puissent vivre en paix. C’est un film sur la vie, un regard sur la mort. Il y a beaucoup d’amour donné par les uns et les autres, beaucoup d’humilité aussi. Ce sont toutes les dimensions de l’être humain qui sont balayées et montrés dans le film : nos forces, nos faiblesses, nos réactions dans l’adversité, nos cotés sombres et lumineux avec une porte ouverte pour devenir meilleur. On apprend toujours beaucoup en allant voir derrière le miroir…
Les thèmes abordés sont universels. Pedro Almodovar parle de choses simples qui nous concernent tous, il tisse des trames de vies que nous connaissons ou côtoyons. Directement inspirés de la réalité, tout le monde peut se retrouver dans ces personnages. Il y a la vie, la vraie, telle que nous pouvons la vivre, l’amour, la mort, la souffrance, les sentiments forts. Nos forces et nos faiblesses sont là, palpables, montrées sans être dites, chacun étant libre de mettre dessus ses propres mots, pour ne jamais donner de leçons mais proposer des clefs de lecture de nos intimités.
Il faut savoir écrire ce genre d’histoire subtile, où les sentiments sont complexes, intriqués et intimes. Il faut savoir tourner ces scènes de vie prises sur le vif, qui vont fidèlement retranscrire ces sentiments tout en délicatesse, en ayant un ton juste, subtil dosage et coup d’œil qu’il faut avoir pour ne pas tomber dans le mélo, la lourdeur et les longueurs. Ce n’est pas donné à tout le monde de savoir faire ça.
Je ne suis pas une fan d’Almodovar ni de quiconque d’ailleurs. Si un film d’Almodovar sort, je vais avoir envie d’aller le voir, parce qu’il a une patte, une odeur, qu’il y a un vrai travail de professionnel derrière, du talent, que ce sont des histoires qui me parlent, qui me touchent et qui m’instruisent. Mais je ne l’encenserai pas parce que c’est Almodovar.
Ce qui m’a plu enfin, c’est l’hommage superbe que cet homme rend aux femmes, aux mères, aux filles, aux épouses et aux sœurs. Les femmes y sont à l'unisson. C’est un hymne au courage des femmes en général et à celui de 3 générations de femmes dans le film, qui se serrent les coudes, affrontent les pires épreuves et font face. C'est à la fois une histoire simple et complexe, émouvante et horrible. Les hommes n’y ont pas leur place car ils sont souvent à l'origine de ces horreurs cachées.
C’est aussi un hommage aux actrices italiennes des années 50. Pénélope Cruz devient la digne héritière de Sophia Loren avec ses yeux ourlés de noir, sa poitrine plantureuse, ces femmes incarnant la maternité et la sensualité voluptueuse que l’on retrouve dans les films de Visconti, Fellini, etc. Je suis sensible à cet héritage, à la transmission du beau et du vrai, de l’éternel féminin qui sautent d’une génération de cinéastes à l’autre.
Pour terminer, ce qui me touche toujours énormément, c’est quand un homme est capable de si bien raconter les femmes et de parler d’elles avec tant de finesse, de justesse. Il faut avoir une grande sensibilité, une sensibilité et un regard « féminin » pour connaître les femmes de la sorte et si bien les mettre en valeur. Sa sensibilité rejoint la mienne. Quand un cinéaste, en parlant de femmes et des femmes, en construisant des scénarios et des dialogues de et pour les femmes, en dirigeant des actrices, arrive à toucher le cœur et la raison de la femme que je suis, je sens une connivence forte entre lui et moi parce que je me retrouve dans ces portraits, ces scènes et ces dialogues. Je sens que c’est de moi et à moi qu’il parle, d’égal à égal et les différences de sexe sont abolies grâce à cette compréhension.