vendredi 11 septembre 2009

Sogni mancini (1996) – Francesca DURANTI

Maria Francesca Rossi - nota come Francesca Duranti è nata a Genova (1935) e vive tra la campagna lucchese e New York. Giurista, traduttrice di Virginia Woolf e scrittrice di successo, ha pubblicato i romanzi La bambina (1976 e 1985), Piazza mia bella piazza (1978), e si è affermata in Italia e nel mondo con il romanzo La casa sul lago della luna (1984). Ha scritto ancora Lieto fine (1987), Effetti personali (1988), Ultima stesura (1991), Progetto Burlamacchi (1994), Sogni mancini (1996), e Il comune senso delle proporzioni (2000).

Al capezzale della madre morta, la protagonista ritrova tracce del proprio passato. Nel romanzo si rincorrono storie di ieri e storie di oggi, un passato povero in un paese ricco di tradizioni e memorie e un presente che può diventare opulento ma a costo di un azzeramento memoriale.

"Mi hanno detto che è morta alle sette e mezza del mattino, proprio mentre il mio aereo atterrava al Leonardo da Vinci. Il pilota aveva girato sopra Roma per quasi un’ora cercando un buco nella tempesta autunnale che infuriava sulla città. Poi riuscì a tuffarsi in una voragine nera e a noi passeggeri sembrò di venir giù come un sasso dentro un pozzo. Quando le ruote toccarono terra, lasciai andare i braccioli a cui mi ero aggrappata e guardai l’ora: le sette e mezza, appunto.
Incredibile. Potrei cavarne una lecture da tenere a voi, ragazzi, cominciando proprio da questo punto. Di preciso non sono dirvi il perché. Certo è che più volte, nei giorni che seguirono, mi è capitato di pensare a me stessa che arrivavo nell’istante in cui lei se ne andava, e di trovare mirabili, ancorché elusivi, significati a quel perfetto tempismo del destino.
Cominciamo dunque di lì, da me che tocco terra a Fiumicino, convocata d’urgenza da Carmelina, proprio mentre mia madre questa terra la lascia per sempre.
Correndo lungo gli interminabili nastri trasportatori dell’aeroporto raggiunsi appena in tempo il DC8 in coincidenza, che mi riportò su sobbalzando, oltre la massa sconvolta di nuvole temporalesche. Trentacinque minuti per volare fino a Pisa, altrettanti per farmi condurre da un taxi a Nugola Vecchia e mia madre era già tutta vestita di nero sul suo catafalco, le mani intrecciate attorno al libro da messa, il viso liscio, le narici trasparenti come una santa di cera nella nostra originaria terra lucana.
Carmelina era in piedi al suo fianco, anche lei vestita di nero, attorniata dal marito e dalle due cognate. Tutti e quattro erano rigidi e solenni come carabinieri a guardia del monumento al Milite Ignoto. Mi venne incontro e mi abbracciò. Il suo seno si gonfiò e si sgonfiò in un sospiro di disapprovazione. (…)
Mia sorella Carmelina parla con un accento toscano esagerato, che non esiste in natura. Per emettere quelle "c" così superlativamente aspirate impegna tutte le forze, al punto che già per due volte ha dovuto farsi operare di un polipo alle corde vocali. In segno di rispetto alla nostra comune terra d'origine, quando parlo con lei mi sforzo, al contrario, di recuperare nel mio accento qualche eco della Lucania, anche quello ormai innaturale.
Mia sorella è nata quando la familia si era già trasferita a Nugola, ha sposato un dentista e ora vive a Livorno. Ha perduto contatto con il passato. Di Forenza, il nostro paese d'origine, non sa niente, perchè è tornata al sud solo per qualche lontano Natale che neppure la mia memoria, benché io fossi la più grande delle due, riesce a far rivivere. Ma è come se lei non avesse neppure respirato quell'aria speciale che c'era in casa nostra. C'era un clima meridionale, da noi. Non dipendeva solo dal leggero accento, che entrambi i nostri genitori hanno conservato fino alla morte, ma da certe usanze natalizie e pasquali, dal cibo, da certi strumenti per la cucina, dal modo di fare il pane e le conserve.
Quello che invece non affiorava mai erano i fatti, le notizie. Una, in particolare, di cui avrei avuto bisogno poche ore dopo la morte di mia madre e che lei più di chiunque altro avrebbe potuto fornirmi. Ecco perché mi appare così enigmaticamente significativo il capriccio del caso: perché, perché farmi arrivare proprio mentre se ne andava lei, che era probabilmente all'origine di tutto?"

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