Il nuovo libraio (L’ultima lacrima) - 1994
Mentre così pensava, tutt’a un tratto il professore fu invaso da una strana, spiacevolissima sensazione. Fisicamente, avvertì un irrigidirsi delle ossa, un’improvvisa accentuazione dei battiti cardiaci, una pesantezza degli occhi, sintomi che spesso annunciano una febbre imminente. Ma ben più spiacevole era ciò che gli era entrato nell’animo. Una paura indecifrabile, come quando nei sogni ci si ritrova in un luogo ostile e solitario, ove nel buio risuonano i passi di una minaccia sconosciuta. Come se di colpo un demone notturno lo avesse trasportato in un deserto lontano.
Reagì alzandosi di scatto e andò a vedere se era rimasto qualcuno in libreria: ma gli operai erano andati via, lansciando la grande porta d’acciaio montata. Pensò di tornarsene a casa, ma riflettendo, decise che avrebbe dovuto assolutamente vincere la paura, poiché quello sarebbe stato il uso luogo di lavoro nei promissi anni. La cosa migliore era spostarsi nella sala più luminosa della libreria, là dove una grande finestra ovale lasciava penetrare le ultime luci della sera tra i libri del Novecento.
Ma mentre si dirigeva verso quella sala, ancora poco pratico, sbagliò strada, e si ritrovò nel corridaio più stretto, un budello ingombro di libri accastati anche sul pavimento, un crepaccio tra pareti di volumi antichi. Dovette avanzare scavalcando, strisciando le spalle contro le costole dei libri. E improvvisamente si fermò, guardò in su, stordito, verso le rilegature dorate, verso i titoli illeggibili. Si appoggiò alla scansia, e lo spigolo di un volume gli punse il collo. Lanciò un lamento iroso, e la sensazione precedente divenne più chiara e paurosa. Si potrebbe dire che questi libri mi ignorano, pensò. Che mi voltano le spalle indifferenti, forse sprezzanti. Ma non è così. « Questi libri mi guardano e mi odiano. »
Il professore aveva infine raggiunto la sala della finestra ovale, fumava, e la nube azzurra della sigaretta saliva lenta tra le scansie, sfiorava nuovi libri, nuovi gironi infernali. Acanti (il professore) teneva una mano sul nuovo registratore di cassa e con l’altra sfogliava distrattamente una rivista; ma per quanto quella stanza fosse meno tetra delle altre, la paura non s’era dissolta. Da ogni scansia, da ogni angolo, gli sembrava di avvertire quello sguardo ostile. Rimprovero, disprezzo, o qualcosa di più maligno? Avevano forse udito il suo proposito di eliminare alcuni di loro, e ne erano turbati ? Ma che sciocchezze ! (…)
« Oh insomma basta! – disse ad alta voce Acanti, accorgendosi con sgomento che la sua mente s’era messa a leggere le pagine immaginarie di un libro che lo accusava. « Basta » ripeté, « non sono pazzo, sono qui per rimodernare una vecchia libreria e anche voi, cioè questi libri, dovreberro essere contenti, verrà più gente, entreranno nuovi titoli, ci sarà meno caos e sporcizia, topi e tarli verrano sterminati, forse alcuni di questi volumi che dormono inutili qui da anni e anni verrano venduti, come era nel loro destino, voi siete nati per questo, o forse preferite restare lassù nei loculi, nelle vostre tombe pensili ? Sbagliate, se credete che io non me ne renda conto che sto parlando per assurdo, voi non esistete davvero, sto parlando ai fantasmi… »
Sussultò: un rumore minaccioso proveniva dal reparto dei libri storici, dal buio crepaccio dov’era passato poco prima. Era un cigolio sinistro, come di una porta che ruota sui cardini. Poi ci fu il tonfo sordo di un corpo che cade. Volle balzare in piedi, ma le gambe stranamente non lo ressero: per alzarsi dalla sedia dovette appoggiarsi alla scrivania, e così facendo urtò una pila di libri che franò rovinosamente, tutti caddero a terra e uno si spaccò con uno schianto, la copertina si staccò dalle pagine. Il libro rimase lì, sul pavimento, scuoiato, e dalle scansie Acanti sentì levarsi un grido d’orrore e di riproverazione: ASSASSINO !
Mentre così pensava, tutt’a un tratto il professore fu invaso da una strana, spiacevolissima sensazione. Fisicamente, avvertì un irrigidirsi delle ossa, un’improvvisa accentuazione dei battiti cardiaci, una pesantezza degli occhi, sintomi che spesso annunciano una febbre imminente. Ma ben più spiacevole era ciò che gli era entrato nell’animo. Una paura indecifrabile, come quando nei sogni ci si ritrova in un luogo ostile e solitario, ove nel buio risuonano i passi di una minaccia sconosciuta. Come se di colpo un demone notturno lo avesse trasportato in un deserto lontano.
Reagì alzandosi di scatto e andò a vedere se era rimasto qualcuno in libreria: ma gli operai erano andati via, lansciando la grande porta d’acciaio montata. Pensò di tornarsene a casa, ma riflettendo, decise che avrebbe dovuto assolutamente vincere la paura, poiché quello sarebbe stato il uso luogo di lavoro nei promissi anni. La cosa migliore era spostarsi nella sala più luminosa della libreria, là dove una grande finestra ovale lasciava penetrare le ultime luci della sera tra i libri del Novecento.
Ma mentre si dirigeva verso quella sala, ancora poco pratico, sbagliò strada, e si ritrovò nel corridaio più stretto, un budello ingombro di libri accastati anche sul pavimento, un crepaccio tra pareti di volumi antichi. Dovette avanzare scavalcando, strisciando le spalle contro le costole dei libri. E improvvisamente si fermò, guardò in su, stordito, verso le rilegature dorate, verso i titoli illeggibili. Si appoggiò alla scansia, e lo spigolo di un volume gli punse il collo. Lanciò un lamento iroso, e la sensazione precedente divenne più chiara e paurosa. Si potrebbe dire che questi libri mi ignorano, pensò. Che mi voltano le spalle indifferenti, forse sprezzanti. Ma non è così. « Questi libri mi guardano e mi odiano. »
Il professore aveva infine raggiunto la sala della finestra ovale, fumava, e la nube azzurra della sigaretta saliva lenta tra le scansie, sfiorava nuovi libri, nuovi gironi infernali. Acanti (il professore) teneva una mano sul nuovo registratore di cassa e con l’altra sfogliava distrattamente una rivista; ma per quanto quella stanza fosse meno tetra delle altre, la paura non s’era dissolta. Da ogni scansia, da ogni angolo, gli sembrava di avvertire quello sguardo ostile. Rimprovero, disprezzo, o qualcosa di più maligno? Avevano forse udito il suo proposito di eliminare alcuni di loro, e ne erano turbati ? Ma che sciocchezze ! (…)
« Oh insomma basta! – disse ad alta voce Acanti, accorgendosi con sgomento che la sua mente s’era messa a leggere le pagine immaginarie di un libro che lo accusava. « Basta » ripeté, « non sono pazzo, sono qui per rimodernare una vecchia libreria e anche voi, cioè questi libri, dovreberro essere contenti, verrà più gente, entreranno nuovi titoli, ci sarà meno caos e sporcizia, topi e tarli verrano sterminati, forse alcuni di questi volumi che dormono inutili qui da anni e anni verrano venduti, come era nel loro destino, voi siete nati per questo, o forse preferite restare lassù nei loculi, nelle vostre tombe pensili ? Sbagliate, se credete che io non me ne renda conto che sto parlando per assurdo, voi non esistete davvero, sto parlando ai fantasmi… »
Sussultò: un rumore minaccioso proveniva dal reparto dei libri storici, dal buio crepaccio dov’era passato poco prima. Era un cigolio sinistro, come di una porta che ruota sui cardini. Poi ci fu il tonfo sordo di un corpo che cade. Volle balzare in piedi, ma le gambe stranamente non lo ressero: per alzarsi dalla sedia dovette appoggiarsi alla scrivania, e così facendo urtò una pila di libri che franò rovinosamente, tutti caddero a terra e uno si spaccò con uno schianto, la copertina si staccò dalle pagine. Il libro rimase lì, sul pavimento, scuoiato, e dalle scansie Acanti sentì levarsi un grido d’orrore e di riproverazione: ASSASSINO !
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